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Energia eolica, venti ad alta quota
novembre 2008 ↓ scarica pdf archivio >>

Entro il 2020 la forza dei venti potrebbe contribuire a soddisfare la fame energetica del nostro pianeta. Almeno in buona parte. Liberandoci dalla dipendenza petrolifera e riducendo in modo consistente le emissioni di CO2. Questi i risultati a cui sono giunti i ricercatori della Stanford University. A seguito di una ricerca commissionata dalla Nasa. Lo studio ha preso il via dalle rilevazioni di turbolenze e consistenza dei venti in alta quota. Con il monitoraggio della velocità e tipologia di 8 mila venti che soffiano costantemente attorno al globo. Gli stessi, responsabili poi, della generazione di immense energie da catturare una volta arrivati al suolo.

Ebbene gli scienziati americani hanno scoperto che il 13 per cento di questi venti, quelli con “potenza di classe 3”, presentano una velocità superiore a 6,9 metri al secondo. Quindi sfruttabili per generare energia eolica. Una fonte alternativa pulita, che non necessita di combustibili, né solidi né liquidi. E lascia intatta l’atmosfera senza emissioni nocive di CO2.

Interessanti i risultati finali riportati sul Journal of Geophysical Research Atmospheres. Secondo il professor Mark Jacobson: «l’energia eolica che si potrebbe ricavare dai venti sarebbe superiore a 72 Terawatt (ndr. trilioni di watt), un valore equivalente a quello generato da 500 centrali nucleari di nuova generazione». Dalla ricerca emerge anche la mappa mondiale di queste forze naturali. I venti più forti di classe 3 si troviamo in tutto il Nord Europa e lungo le coste del mare del Nord. Ma anche in America e Canada specie lungo la fascia dei Grandi Laghi. Stessa situazione per i litorali oceanici del Sud America, dell’Australia e della Tasmania.

Anche il nostro paese, seppure con minore intensità è interessato alla produzione dell’energia che viene dal vento. Nei cosiddetti “parchi eolici”. Sono coinvolte con maggiore potenzialità le regioni meridionali. Un mercato che nel corso di 12 mesi è cresciuto di oltre il 25%. «Con una produzione che ha superato 3200 Megawatt – spiega Luciano Pirazzi dell’Enea, l’Ente per le nuove tecnologie Energia e Ambiente – ma questi valori potrebbero aumentare ulteriormente con l’opportunità di installare impianti offshore, posizionati cioè lungo le coste». Secondo gli studi Anev, l’associazione nazionale energia del vento, nel 2020 potremmo generare oltre 16 mila Megawatt di energia pulita.

Ma nonostante questi numeri incoraggianti l’eolico italiano avanza a singhiozzo. Chi frena lo sviluppo? Non certo le soluzioni tecnologiche, legate alle costruzioni delle “fabbriche del vento”. Invece il vento del Bel Paese soffre dei tipici mali legati alle pastoie burocratiche. Da una parte la mancata chiarezza legislativa sui meccanismi di incentivazione e certificazione degli impianti. Dall’altra le endemiche lentezze delle autorità locali nel rilasciare i permessi per l’identificazione di aree idonee a salvaguardare l’impatto ambientale. Anche per il vento, come avviene per lo smaltimento dei rifiuti, tutti ne vogliono sfruttare l’energia, ma pochi promuovono l’installazione di torri eoliche sul proprio territorio. La dimostrano i tempi impiegati dalle Regioni per rilasciare i permessi.

Il recente osservatorio WindIT di Nomisma Energia mette il luce che le previsioni di 6 mesi, come tempo fisiologico per il rilascio delle autorizzazioni, vengono ampiamente superate. Infatti, diventano 16 mesi in Campania, 18 in Calabria e 23 in Sicilia. Mentre in Puglia, regione con buona vocazione eolica, per ottenere un’autorizzazione di mesi ne occorrono 25. E intanto il vento in alta quota continua a soffiare, senza generare energia sugli italici lidi.







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