F-commerce, lo shopping del passaparola
luglio 2011
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Il commercio elettronico, grazie alla presenza dei Social Network, si arricchisce di una nuova comparsa: l’
f-commerce. La “f” inutile dirlo, è sinonimo di Facebook. Il salotto globale di Mark Zuckerberg, trasformato in strumento di vendite online. I potenziali acquirenti sono i 700 milioni di utenti nel mondo, che svolgono un ruolo attivo segnalando il gradimento dei prodotti. Un trend appena partito, ma con le carte in regola per affiancare l’e-commerce tradizionale. Il 2011 viene indicato dagli analisti come anno zero del nuovo fenomeno.
Secondo l’istituto di ricerche americano Forrester Research, parliamo di un mercato emergente che passerà da 5 miliardi di dollari di fine 2011, a
30 miliardi di fatturato nel 2015. Con una crescita media del 56% anno su anno. Il perché di questa tendenza è legato a un’abitudine vecchia come il mondo: «fare acquisti col passaparola». Seguendo i consigli degli amici.
Spiega a proposito Alberto D’Ottavi, cofondatore con Nicola Junior Vitto di
Blomming, una delle prime aziende italiane a offrire servizi di Social Commerce: «l’f-commerce avvicina i prodotti alle persone. Portando la merce da vendere direttamente al cliente, senza che deba consultare pagine online. Come avviene ad esempio con e.Bay». L’idea è semplice. Rendere i prodotti "liquidi" come le informazioni. Così le persone possono commentarli, condividerli con amici, esprimere il loro like, "mi piace". Passando poi alla fase di acquisto con un semplice click, senza abbandonare le pagine Facebook (FB) in cui si trovano.
A due mesi dalla nascita Blomming ha attivato
600 shop, superando 13 mila articoli presenti. Per aprire un negozio basta collegarsi al sito blomming.com e seguire le istruzioni in home page. Il servizio gratuito consente in pochi minuti di essere presenti su un Facebook store con i prodotti da vendere.
Un concetto trasposto al web che arriva da lontano. Da sempre le signore, amano fare shopping in compagnia, chiacchierando con le amiche su pregi e difetti dei prodotti da comprare. Dai vestiti alle scarpe, dai cosmetici agli articoli di bellezza. Lo stesso dicasi per gli uomini: chi acquisterebbe uno smartphone senza consultarsi con gli amici? O cambia palestra senza chiedere consigli a chi la frequenta? Ebbene le stesse relazioni interpersonali, anche nel nostro paese avvengono tramite i siti di Social Network. FB in testa. Dove circa 12 milioni di italiani, su
20 milioni di iscritti, si collegano ogni giorno per “parlare e sparlare”. E scambiare opinioni su prodotti e servizi.
Alle aziende non potevano sfuggire queste potenzialità di business. Numerosi gli esempi, a partire dal luxury. «Il concetto di fondo per i brand del lusso (ma non solo) è semplice - afferma Marco Massarotto, di
Hagakure, una web-agency milanese – su Facebook il target degli utenti è già profilato per preferenze e stili di vita, quindi le maison del fashion trovano comunità di potenziali clienti, pronte all’acquisto dei prodotti». Come per
Bulgari, tra le prime a presentarsi al pubblico con pagine su FB. Nascono così collegamenti diretti tra i vecchi siti aziendali di e-commerce e le comunità online.
Levi's ha importato il proprio sito di commercio elettronico dentro FB. E grazie alla tecnologia "Facebook Connect" permette di condividere le informazioni (amici, like, commenti) con il mondo esterno.
Disney propone invece “tickets together” una Facebook-App per organizzare serate al cinema assieme agli amici. La procedura è semplice. Prima si condivide su FB il gradimento dei film da vedere, poi basta cliccare sul link per l’acquisto diretto dei biglietti.
Diesel riporta invece i “like” nel suo negozio virtuale, consentendo di esprimere il gradimento dei prodotti tramite tablet e smartphone.
Il massimo dell’integrazione di servizi arriva da Pizza Hut in Usa. Con la consegna a domicilio della pizza preferita mentre si sta chattando con gli amici che verranno a cena. «Il metodo delle preferenze risulta virale - conclude Massarotto – ed è destinato a diventare un potente strumento marketing». Attenzione però all’effetto boomerang (per le aziende), nel caso i prodotti non incontrino i favori del pubblico. Le critiche delle community si diffonderanno sul web a “tempo zero”.