FOCUS DISABILI & LAVORO
dicembre 2008
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DISABILI & MONDO DEL LAVORO
Da sempre i rapporti tra disabili e mondo del lavoro risultano problematici. Irti di barriere sociali e ostacoli burocratici. Così per la persona affetta da handicap, o come suona meglio dire per il “diversamente abile”, al dramma delle limitazioni fisiche e psichiche si aggiunge la difficoltà di fare valere i propri diritti. Legittimi e sacrosanti, regolati dalla
legge 68 del marzo 1999 che ha sostituito regolamenti, leggine e circolari vecchie di oltre vent’anni. Tra gli obiettivi della nuova normativa, oltre all’assunzione a pieno titolo in aziende pubbliche e private, è previsto che l’inserimento al lavoro del disabile miri a: «valorizzare le abilità residue e le potenzialità inespresse». Ma le cose nella pratica, funzionano diversamente.
Il primo ostacolo riguarda la confusione nel definire la condizione “disabile” sia a livello italiano, che europeo. Con statistiche e numeri discordi. Vecchi di anni, non aggiornati con una tempistica degna di un mondo regolato da computer e reti telematiche.
Per avere informazioni aggiornate sul nostro paese bisogna consultare i dati
Istat del luglio 2005, basati su rilevamenti dell’anno precedente. Ormai 4 anni fa. Le statistiche dicono che in totale nel nostro paese i disabili risultano 2,8 milioni. Pari al 4,8% della popolazione. Sempre la stessa fonte rileva che oltre 1 milione presentano disfunzioni motorie e il 60% del totale sono donne. Se però consultiamo il rapporto
Eurostat (l’ufficio di statistica dell’Ue) sulla popolazione europea tra i 16 e 64 anni, quindi in età di una possibile occupazione, scopriamo che in Italia le persone disabili o affette da gravi malattie a lunga durata che ne limitano le capacità lavorative, salgono al 6,6% della popolazione.
Oltre i 4 milioni. Una differenza non da poco.
Secondo Carlo Gulminelli vice presidente dell’onlus bolognese Asphi: «se poi ci addentriamo nella classificazione delle disabilità per l’inserimento nel posto di lavoro più idoneo, siamo di fronte a una Babele di suddivisioni e tipologie, specie per condizioni psichiche e mentali».
Ma se trovare lavoro al Nord non è semplice, diventa ancora più problematico nel Sud e Isole. Per capirlo, basta consultare la
“Quarta relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 68/1999”, presenta prima dell’estate dal Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali. «Nel 2007 i disabili iscritti agli elenchi unici provinciali del collocamento risultavano 768 mila, compresi quelli che lo fanno per percepire l’assegno di invalidità – afferma Francesco Garofalo, dirigente responsabile al Ministero del Lavoro - con una quota di 481 mila iscritti nel Sud e Isole» Pari dunque al 61% del valore nazionale. Una forbice che diventa più marcata quando si parla di avviamento al lavoro. Il passe-partout con cui una società civile dovrebbe aiutare i meno fortunati a inserirsi in posti pubblici e privati. I grafici della relazione, secondo i dati Isfol, indicano la cifra di 31 mila avviati al lavoro in tutta Italia. Ma di questi solo 6 mila si trovano nel Sud e Isole. Decisamente pochi rispetto agli iscritti.
La situazione non migliora una volta trovata l’occupazione in azienda. E non aiutano neppure nuove tecnologie e web. Nel rapporto “Ict accessibile e disabilità”, realizzato lo scorso maggio dalla
School of Management del Politecnico di Milano su un campione di 1060 aziende, si scopre che solo 1 azienda su 4 si preoccupa della completa integrazione del disabile. Con un’accoglienza e un inserimento adeguato, supportato da colleghi con mansioni di affiancamento. Le altre 3 aziende hanno il solo obiettivo di adempiere all’assunzione di legge. Senza mettere in atto politiche di inserimento ad hoc. Compreso l’utilizzo dell’informatica che in molti casi potrebbe rivelarsi un valido sussidio. Perché, spiega il professor Andrea Rangone, responsabile della ricerca: «le imprese tendono ad assumere persone con disabilità che non necessitano di usare strumenti hitech, con un approccio che possiamo definire di “dissoluzione” del problema». Dunque assunti, ma sottoimpiegati. Lontani da quanto sta scritto nella 68/1999 che enfatizza il passaggio del disabile: «da obbligo a risorsa attiva».
La legge lascia che ciascun territorio definisca l'assetto organizzativo per l'inserimento mirato che meglio risponde ad esigenze e risorse. Così ai
Cpi, centri per l’impiego, è demandato il compito di redigere le graduatorie e avviare i lavoratori disabili in azienda. Con l’obiettivo di accelerare i tempi di assunzione, seguendo il disabile nell’iter di collocamento. Ad esempio per Milano e Provincia, alla fine dello scorso anno, gli iscritti alle liste del lavoro erano 21 mila, di cui 7800 si sono resi disponibili e 2500 avviati. Spiega Claudio Messori, il responsabile servizi occupazione disabili del Cpi: «fino a qualche anno fa le aziende chiedevano la semplice consultazione degli elenchi, adesso abbiamo messo in atto Match, un sistema informativo che confronta domanda e offerta, tenendo conto delle tipologia di richiesta delle aziende e competenze del disabile». Compreso l’accompagnamento ai colloqui di lavoro e il monitoraggio nei primi mesi di attività.
Ma a proposito di Cpi, nella corposa relazione al Parlamento di 449 pagine, non mancano strani paradossi. Quando ad esempio si parla di
barriere architettoniche, da sempre uno dei grandi handicap per i diversamente abili, si afferma che nel 2005: «a livello nazionale, quasi il 70% dei Cpi risulta accessibile ad un’utenza disabile, con punte virtuose nel Nord Ovest dove circa 15 strutture su 100 presentano problemi di accessibilità... la situazione più critica resta al Sud e nelle Isole, dove la presenza di ostacoli all’accesso continua ad affliggere oltre il 60% dei Cpi». Punte virtuose? Di cosa? Piuttosto diciamo una vergogna. Ma come, in una relazione ufficiale al Parlamento si scrive nero su bianco che in
6 centri su 10 i disabili incontrano barriere di accesso. E non si prendono provvedimenti. Ma qualcuno ha letto la relazione? Non solo.
Quando si parla delle priorità individuate nel “piano d’azione europeo 2008–2009”, a cui aderisce l’Italia, si pone come obiettivo prioritario ai fini dell’inclusione attiva dei disabili nel mondo del lavoro quello di: «assumere come punto di riferimento l’approccio della
"flessisicurezza" per consentire alle persone disabili di trovare e conservare più facilmente un impiego». Al di là del fantasioso termine burocratese, sconosciuto al comune cittadino, viene da chiedersi: come può un disabile trovare lavoro, se non riesce fisicamente a entrare nei centri per l’impiego?
MATTEO IL GIOVANE PASTICCERE DI PAVIA
Matteo come tanti lavoratori esce di casa alle 7,30. Per comodità, visto che fa la stessa strada, chiede un passaggio in macchina alla madre. Alle 8 in punto entra nel laboratorio della storica pasticceria Vigoni a Sant'Alessio, in provincia di Pavia. E’ un addetto al confezionamento di torte e dolci. Lavora con impegno e scrupolo. Poi alle 14 finisce, prende un pullman di linea e da solo torna a casa.
Matteo Coletti, 22 anni è affetto dalla sindrome di Down. E’ il primogenito di tre figli, con una sorella universitaria e pianista, e un fratello liceale. Spiega con evidente soddisfazione: «ho iniziato a lavorare lo scorso luglio, dopo due mesi di prova e affiancamento, la pasticceria mi ha trovato idoneo alla mansione, assumendomi con un contratto a tempo indeterminato di 24 ore la settimana».
Il pomeriggio Matteo lo dedica al gruppo scout e alla pallacanestro. Ma è anche un buon canoista. Da anni frequenta il Cus Pavia, in inverno sedute in palestra per tonificare i muscoli, nella bella stagione va a pagaiare lungo le rive del Ticino. Nel poco tempo libero che gli rimane, si mette davanti al computer e visita siti meteo, i suoi preferiti. Così scopriamo che Matteo è determinato negli hobby e nel lavoro. Certo, dalla sua parte va messa la fortuna di avere incontrato le persone disposte a dargli una mano. Prima gli insegnanti all’Istituto professionale Cossa di Pavia. Poi l'aiuto concreto degli educatori dello Sfad, il centro per l’addestramento al lavoro. Qui lo hanno responsabilizzato, mettendolo in grado di operare in modo autonomo. Ma soprattutto portando alla luce le competenze.
Dunque la storia a lieto fine di un disabile che ce l’ha fatta. «Merito anche della legge – dice mamma Carla - che ha consentito l’inserimento in azienda, grazie alle agevolazioni». Matteo è felice del suo impiego, l'ambiente accogliente e stimolante, si sente realizzato. I primi cedolini dello stipendio sono stati una gioia. Lui però è parsimonioso, per ora i soldi li mette sul conto in Banca. Progetti per il futuro? «Certo che ne ho. Mi piacerebbe essere spostato nel reparto produzione della Vigoni. Dove si impastano dolci e torte».
PER GILBERTO IL LAVORO NON È MAI ARRIVATO
Invece, non è andato a buon fine il percorso lavorativo di
Gilberto Frizzi, 47 anni di Castel Goffredo nel mantovano. Ex agente di commercio, abituato a viaggiare e stare a contatto con le persone. Ma 17 anni fa l’auto gli è stata fatale. Un grave incidente automobilistico, poi il coma di sei mesi. Alla fine grazie allo staff medico e alle cure della moglie Marisa ha superato il lungo periodo di riabilitazione. Però gli sono rimasti problemi motori, l’uso parziale di una mano e del braccio, difficoltà nella fonetica, con fatica nell’espressione verbale. Ma nonostante questo ha sempre avuto la determinazione per reinserirsi nel mondo del lavoro.
«Ovviamente non potevo riprendere la mia professione – racconta - mi sono dato da fare in ogni modo per trovare un’altra occupazione». Compresi i corsi di formazione, l’uso del computer e delle nuove tecnologie. Neanche l’iscrizione al collocamento ha portato risultati concreti. Così col trascorrere del tempo il lavoro per Gilberto è diventato una chimera. «Volevo e dovevo trovare un’occupazione, solo così con due figli avrei contribuito alle spese famigliari».
Ma tutto quello che gli è stato offerto è un servizio saltuario di volantinaggio, da fare con la bicicletta a tre ruote. Fornita gratuitamente, come gli spetta, dall’ASL di zona. Alla fine Gilberto, per fare quadrare i conti, nonostante l’età giovane, ha fatto domanda di pensione anticipata. Percependo il minimo previsto. «Piuttosto di niente – conclude - almeno da pensionato porto a casa il mio contributo economico, ma la voglia di lavorare e rendermi utile alla società è rimasta, senza avere risposte concrete». Una storia che lascia l’amaro in bocca. Ma la speranza resta.
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